L’esposizione ripetuta a un’immagine o a un contenuto fa sì che l’individuo modifichi la propria percezione della realtà e interiorizzi il messaggio veicolato. E’ quello che gli psicologi chiamano effetto priming e che pubblicitari ed esperti della comunicazione conoscono molto bene. Quanto più un messaggio viene ripetuto ed enfatizzato, magari attraverso la forma dello spot, tanto più esso risulterà familiare.
Così può accadere che un concetto privo di veridicità, ma ripetuto con insistenza e in modo convincente, acquisisca il rango di verità. E’ quanto accaduto con la fake news tanto assurda quanto apparentemente efficace e abusata secondo cui il bilancio dello Stato sarebbe come quello di una famiglia. La ripetono all’unisono giornalisti, conduttori televisivi, economisti e politici. Così la gente comune, digiuna di economia e soprattutto in buona fede, ha interiorizzato un pensiero del tutto fuorviante.
Secondo questa logica, quando un Paese presenta un debito pubblico – dunque la normalità in un’economia moderna – dovrebbe assumere il comportamento di una brava e accorta casalinga: stringere la cinghia e tagliare le spese familiari. Così, come una moglie morigerata risparmierà sul cibo, sul vestiario e, in condizioni di extrema ratio, alle cure sanitarie per sé, per il coniuge e per i figli, così lo Stato dovrebbe seguire il suo esempio. Poiché la “famiglia” dello Stato è lo Stato stesso, ossia l’insieme dei cittadini che lo abitano, il suo territorio e le sue istituzioni, i tagli si ripercuoteranno sull’intera collettività. Per risparmiare, infatti, occorre innanzitutto che contravvenga a quello che in un sistema socio-economico civile dovrebbe essere la sua funzione principale: tutelare chi non ha tutela, chi per nascita o per eventi sopravvenuti o condizioni particolari si trova in una situazione di evidente svantaggio.
Lo Stato non è una famiglia perché esso ha come obiettivo il benessere e la tutela di tutti cittadini, non solo dei suoi figli come la famiglia, e opera su un orizzonte temporale di lungo periodo. Deve inoltre garantire il funzionamento delle istituzioni a garanzia del diritto e della democrazia.
Da un punto di vista economico adottare la condotta della brava casalinga, che per uno Stato significa sposare l’austerity, vuol dire licenziare, rendere i servizi pubblici essenziali sempre più costosi, aumentare il livello di povertà, di disuguaglianza e disoccupazione. Esiste infatti una relazione diretta, alquanto intuitiva, tra tagli dello Stato e diminuzione della ricchezza privata perché, per dirla con le parole del premio Nobel Krugman, la tua spesa è il mio reddito.
Non è un caso che i Paesi col debito pubblico più alto al mondo (Usa, Giappone, ecc.) sono anche i più ricchi, mentre nel Terzo Mondo il debito pubblico è bassissimo. Eppure continuano a propinarci le solite ricette di austerity, scambiando la contabilità per economia. Avendo inoltre abdicato alla sua sovranità monetaria ed essendo ridotto a chiedere moneta a prestito, pagando interessi pagati sul proprio debito, per lo Stato puntare al pareggio di bilancio vuol dire prelevare dalle tasche dei cittadini più di quanto viene offerto in cambio attraverso i servizi: la ricetta perfetta per la recessione e l’impoverimento.
Il motivo per cui un principio così fallace e infondato, come quello dell’austerity, riscuote tanto successo risiede nella psiche umana: quel senso di colpa innato e quello spirito di sacrificio fine a se stesso, che Nietzsche chiamava “la sindrome del cammello”, da cui l’uomo non riesce a emanciparsi.
Potremmo dunque a ragion veduta ribaltare lo spot e affermare: il bilancio dello Stato è il contrario di quello di una famiglia. Ma i pregiudizi si sa, una volta sedimentati sono difficili da scardinare.
4 comments On Lo Stato è come una famiglia? Falso!
Gentile Ilaria,
Ricevo con piacere il suo messaggio relativo all’articolo citato e con il quale mi trovo del tutto d’accordo. Mi permetta, però, di esprimere alcuni miei pareri…
In più di un’occasione, ero stato tentato di includere il suo nome e le sue opere all’elenco che da qualche anno pubblico sul WEB.
Tuttavia, pur non avendo letto alcuna delle sue opere, mi ha colpito uno dei suoi titoli che sembrerebbe condannare il cosiddetto “neoliberalismo”.
Confesso di essere un mero profano in materia di economia, tuttavia, da lettore “onnivoro”, tra i ben oltre mille saggi letti anche sul Liberalismo, in parte nelle versioni originali in sei lingue distinte, ho letto la maggior parte dei principali saggi della Scuola Austriaca come quella di Chicago ed intendo che il termine “neoliberalismo” viene attribuito dagli avversari dell’Ordine Spontaneo, proprio a queste due scuole.
Per cui, dinanzi ad un titolo come
Neoliberismo e manipolazione di massa.
mi è sorto un serio dubbio sull’effettiva sua convinzione liberale, anche perché pare che lei abbia una visione molto distinta da ciò che scrivono autori come
Johan Norberg in PROGRESSO o Paul Collier in L’ULTIMO MILIARDO, oppure gli autori Jean-Philippe Del Sol, Nicolas Lecaussin ed Emanuel Martin in ANTI-PIKETTY, o Stephen Moore e Julian L. Smith in IT’S GETTING BETTER ALL THE TIME ecc. ecc..
In altre parole che non è assolutamente vero che il Capitalismo stia danneggiando i molti a favore dei pochi. È vero, invece, che una manciata di miliardari “patrimonialisti” – contrari al libero mercato – sta forzando la realizzazione del N.O.M. insieme all’ONU – con le sue appendici – come scrive Pascal Bernardin nelle sue eloquenti opere – e Klaus Schwab, Big Pharma, Big Tech e BlackRock ecc. ecc.
Noto, inoltre, la foto di Trump e di Reagan con una frase non che non lascia dubbi; per cui se a lei davvero non piacciono due presidenti, di cui uno noi liberali ammiriamo, mentre l’altro ormai ormai costituisce una specie di speranza della salvezza dell’Occidente, i miei dubbi trovano una certa conferma. Io ed i liberalis citati sopra non ci scandalizziamo che le élite si arricchiscono, dal momento che, con la loro azione, possono contribuire anche al miglioramento delle condizioni di vita di praticamente tutto il resto della Popolazione mondiale.
Altri suoi titoli, invece, mi sembrano abbastanza allineati anche alle mie convinzioni, per cui, ho aggiunto alla mia lista dei desideri che attualmente è composta da oltre 200 titoli il suo
Dal grande reset al green reset. La transizione ecologica e la deriva dell’Occidente
proprio per meglio capire la sua posizione. Lo aggiungerò ad uno dei miei prossimi acquisti al mio prossimo passaggio per l’Italia e mi auguro che la sua critica al “Neoliberalismo” abbia generato solo un banale equivoco.
Colgo l’occasione per salutarla
Cordialmente, Tullio
http://www.liberalismowhig.com
Gentile Tullio,
sarei felice se ai suoi mille saggi ne aggiungesse uno, Neoliberismo e manipolazione di massa, il mio primo saggio, propedeutico ai successivi, dove faccio luce a tutti i suoi quesiti.
Cari saluti,
Ilaria Bifarini
A proposito del post
“Dove sono finisti i miliardi di dollari degli aiuti all’Africa?”
raccomando la lettura dell’economista africana Dambisa Moyo LA CARITÀ CHE UCCIDE
perché risponde molto bene a tale domanda…
Cordialmente, Tullio
http://www.liberalismowhig.com
Giustamente soffriamo o ci impongono la sindrome del cammello e questo testimonia come, in realtà, siamo succubi di chi, invece, non esita per nulla ad avviare di continuo, nel proprio paese, politiche espansive. I poteri forti vogliono solo che i loro centri siano prosperi, almeno per le elites dominanti che li rappresentano e non si preoccupano minimamente di far precipitare in recessioni più o meno gravi i loro satelliti. Così questi ultimi si indeboliranno sempre più e saranno sempre più dipendenti dall’anglosfera, che invece, cresce. e dove, come mostra Lei, effettivamente il bilancio dello stato “è il contrario di quello di una famiglia. Ma i pregiudizi sedimentati, si sa, sono difficili da scardinare” (I. Bifarini). Auguriamoci solo che la svolta impressa dai Brics e le imminenti elezioni regionali facciano rialzare la testa a nazioni come la nostra e a governanti che possano diventare davvero difensori dell’interesse nazionale. Grazie, sempre.