Lavoro: tra smart working e distanziamento sociale

Due parole risuonano da mesi nelle orecchie delle persone: smartworking e distanziamento sociale che sembrano anzi diventate le parole chiave prima, durante e dopo l’emergenza Covid. Il lavoro da casa e il mantenimento delle distanze fra persone, strumenti e comportamenti ritenuti essenziali per evitare il rischio dei contagi, per molti stanno costituendo una sorta di habitat idilliaco da mantenere anche un domani quando l’emergenza sanitaria sarà definitivamente cessata. Ma siamo sicuri che la distanza dai luoghi di lavoro, l’attività svolta da casa senza più spostarsi in ufficio e il distanziarsi sempre di più dagli altri porti benefici concreti all’economia e al mantenimento stesso dell’equilibrio psichico dell’individuo? Non ne è convinta l’economista Ilaria Bifarini,  autrice dei libri “Neoliberismo e manipolazione di massa – storia di una bocconiana redenta”, “I Coloni dell’Austerity” e “Inganni Economici” intervistata da Lo Speciale. Che ci parla anche di GIG ECONOMY.

 

Lo smartworking sembra essere la modalità di lavoro del futuro, apprezzata da molti lavoratori e datori di lavoro. Ma appresenta davvero il futuro? Quali sono i rischi?

“Lo smartworking, che di fatto in Italia si riduce per gran parte dei casi in home working, rappresenta una soluzione per diversi aspetti ottimizzante. Da una parte permette al lavoratore di guadagnare il tempo perso negli spostamenti, che può così dedicare ai propri hobby e alla famiglia, dall’altra consente al datore di lavoro di risparmiare sui costi dell’immobile, sull’erogazione dei buoni pasto e degli straordinari. In realtà dietro questo circolo apparentemente virtuoso, si nascondono numerosi rischi”

Quali?

“Innanzitutto quello di una possibile e imminente bolla immobiliare, come conseguenza della scelta di molti lavoratori di spostarsi fuori dalle aree urbane, dove il costo abitativo è più basso, e addirittura di tornare nel proprio territorio di origine per molti fuorisede ormai stabili al Nord, tanto che è stato ribattezzato southworking. A rischio sono le grandi città, Milano in testa, con una crisi del settore immobiliare che potrebbe avere un effetto domino sull’intera economia. Inoltre, a riscontrare un’ingente perdita di fatturato, con conseguenti licenziamenti, è tutto il settore della ristorazione legata agli uffici. Ma le ripercussioni non si limitano solo all’aspetto economico, che è quello più tangibile. La separazione del lavoratore dall’ambiente relazionale in cui è inserito lo riduce a mero prestatore di lavoro, tanto che potrebbe essere facilmente sostituito da un robot, venendo meno l’aspetto di collaborazione e scambio tra colleghi. In alcuni casi si crea poi una situazione di perdita di controllo, in cui non si distingue più tra vita lavorativa e privata, pericolosa per l’aspetto psichico dell’individuo e per l’equilibrio familiare, soprattutto dove si dividono spazi limitati”.

Alcuni credono che questa crisi porterà alla fine del modello economico neoliberista e ad una società più equa. E’ davvero così?

“Al contrario, l’economia del distanziamento sociale, come abbiamo visto nella sua espressione massima durante il lockdown, ha portato a un acuirsi della disuguaglianza sociale ed economica. L’attuale crisi, dovuta alla gestione della pandemia, ha creato milioni di nuovi poveri e disoccupati in tutto il mondo. Ad aumentare i loro profitti, invece, sono state ancora una volta le grandi multinazionali dell’e-commerce e del digitale, oltre all’industria farmaceutica. Stiamo andando sempre più verso l’affermazione e il consolidamento del nuovo volto del capitalismo, ossia la Gig economy, la cosiddetta economia dei lavoretti, quei lavori occasionali e a chiamata offerti dalle piattaforme digitali. Un esempio su tutti è quello della consegna del cibo a domicilio, tramite i servizi di delivery, che rappresenta un enorme business in incessante crescita. Ma non solo, il lavoro a chiamata riguarda anche altre attività, come quella grafica, di sviluppo web, data entry, ecc.. Se una volta venivano considerati lavoretti per arrotondare, oggi rappresentano sempre più una fonte di sostentamento primaria per molti lavoratori, che si trovano in concorrenza tra loro, valutati in base ai feedback degli utenti e al rating conquistato. Parallelamente, avvengono le fusioni tra i colossi del settore, come quella recente tra Takeaway e Just Eat. In pratica la gig economy ha un duplice volto: da una parte individui atomizzati che vivono di lavoretti senza garanzie, dall’altra i giganti del web che continuano a crescere. La concentrazione di ricchezza mondiale e la conseguente disuguaglianza hanno ormai raggiunto livelli inauditi, mentre la classe media subisce un livellamento verso il basso”.

Tuttavia, con il confinamento e la riduzione della socialità, si riducono i consumi e gli spostamenti. Questa è una buona notizia per l’ambiente?

“Sicuramente l’economia del distanziamento sociale comporta una riduzione di alcuni consumi, in comparti come l’abbigliamento o l’automobilistica, ma allo stesso tempo ha generato nuovi bisogni e prodotti. Pensiamo al nuovo oggetto essenziale, divenuto improvvisamente un bene primario per noi: la mascherina monouso. Resa obbligatoria ovunque, ne occorrerebbero miliardi al giorno per soddisfare le esigenze della popolazione mondiale. Solo in Italia ne verranno utilizzate 11 milioni al giorno esclusivamente per le scuole: parliamo di numeri astronomici, oltre due miliardi nel corso di un anno. Al di là del business che c’è dietro, nessuno si chiede quale sarà l’impatto ambientale di una simile produzione e del suo smaltimento. Per la maggior parte sono costituite di poliestere o polipropilene, altamente inquinanti e non riciclabili. Sarebbe più sensato dotare gli studenti di mascherine lavabili, riutilizzabili, invece è prevista la fornitura di chirurgiche monouso. Pensiamo poi all’installazione delle barriere in plexiglass, all’utilizzo smodato di disinfettanti in contenitori di plastica, ai nuovi banchi scolastici e allo smaltimento di quelli già in uso. C’è il rischio che ci troveremo sommersi da questi nuovi prodotti. L’allarme è stato già lanciato per le mascherine, che già stanno invadendo i nostri mari e rappresentano delle autentiche trappole per la fauna marina”

(Intervista rilasciata a Marta Moriconi per Lo Speciale Giornale.)

 

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