4 dicembre 2016: l’attentato dei poteri finanziari alla nostra Costituzione

La proposta di riforma costituzionale è stata caldeggiata dalla banca d’affari JP Morgan, coinvolta nella truffa dei subprime, ed è appoggiata dagli USA e da agenzie internazionali di rating.

Da qui al 4 dicembre non sentiremo parlare d’altro, siamo pronti al lavaggio del cervello e al ricorso a tecniche di manipolazione di ogni sorta, dalle più spudorate alle più sofisticate. Un esempio? Lo spot postato sul profilo Twitter dal Presidente del Consiglio, in cui una signora anziana dall’aria bonaria e rassicurante -coincidenza, proprio il giorno dopo la “festa dei nonni”, quando la sensibilità per gli anziani è massima – invita a votare Si, “perché altrimenti non cambia nulla”. Evitando facili commenti sulla faziosità dello spot, la cui retorica è così spicciola da risultare becera, certo è che il contenuto della riforma non è così comprensibile all’uomo della strada. Mentre il lavoro della Costituente si avvalse del supporto di scrittori e letterati affinché la nostra Costituzioni fosse chiara e comprensibile a tutti, con periodi lunghi in media venti parole, il testo della riforma Renzi-Boschi risulta astruso, con articoli di oltre 400 parole. Un’esperta linguista, che ha analizzato la riforma, l’ha definita una “complicazione indiscreta (…) di indebita complessità sintattica e profonda oscurità semantica”.

Per valutare la bontà di questo referendum, senza entrare in discussioni da legulei edotti di cui sono pieni giornali e web, partiamo da un fatto: la proposta di riformare le Costituzioni europee, e in particolare quelle dell’area del mediterraneo, è arrivata da una delle più grandi banche d’affari internazionali, che conta circa 100 milioni di clienti in tutto il mondo, ed è stata dichiarata dal governo federale degli USA, dove ha la sua principale sede, responsabile della crisi finanziaria del 2011 e della truffa dei mutui sub-prime, nonchè coinvolta nella manipolazione del mercato energetico nordamericano. La paternità della riforma della nostra Costituzione, tanto a cuore al Governo Renzi, ha la firma di JP Morgan. Il 28 maggio 2013 il colosso finanziario americano ha pubblicato un documento di una ventina di pagine, fornendo indicazioni ai singoli Stati su come adeguarsi al diktat dell’austerity imposto dall’UE.

In particolare, due pagine sono state dedicate all’Italia che, insieme a Spagna e Grecia, presenta una Costituzione ritenuta incentrata su idee socialiste e antifasciste, troppo garantiste per i lavoratori.

La nostra Costituzione, lungi dall’essere socialista, è stata pensata proprio per scongiurare il ripetersi di una svolta autoritaria nel Paese. Inoltre, presenta delle norme che vincolano la proprietà privata, che può essere espropriata per fini di pubblica utilità (art.42). Sempre targati Nuovo Continente, sono arrivati gli avvertimenti dell’ambasciatore americano Philips, che ha esortato pubblicamente gli italiani a votare a favore del cambiamento della Costituzione, con un’ingerenza inaudita che contravviene proprio al primo articolo del testo in questione (“La sovranità appartiene al popolo”). A chiudere il cerchio delle lobby internazionali e finanziarie è stata la dichiarazione dell’agenzia angloamericana di rating Fitch, che più che un avvertimento ha il suono di una minaccia: se al referendum gli italiani volessero decidere di non cambiare il loro testo costituzionale, questo sarebbe interpretato come uno choc negativo (!) per il credito e per l’economia del Paese.

I plotoni delle lobby mondiali dell’economia e della finanza sono dunque tutti schierati, con il loro armamentario fatto di pressioni politiche e speculazioni finanziarie. Ma qual è la posta in gioco che ha fatto scendere in campo tante prime linee? Che cosa lega le sorti del nostro stato di diritto a quelle di una banca d’affari americana? E se dare una spallata alla Costituzione e ai diritti garantiti fosse finalizzato a spianare la strada alla politica di acquisti sfrenata del nostro patrimonio pubblico da parte di soggetti stranieri? D’altronde l’unica alternativa ai tagli dell’austerity che il sistema euroliberista permette ai singoli Stati, privati della loro sovranità economica, per raggiungere l’osannato pareggio di bilancio sono proprio le privatizzazioni di aziende e di asset pubblici. E i fondi finanziari internazionali sono degli ottimi pretendenti.

(Ilaria Bifarini  su ID, ottobre 2016)

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