È allarme usura nella Capitale, complice il continuo ricorso al prestito e la riduzione del credito da parte delle banche.
C’era una volta una famiglia che spendeva i propri soldi secondo una gestione economica che non aveva bisogno di family banker e maghi delle finanza. Bastava il senso comune della casalinga, che sa quando spendere e quando tirare la cinghia. Poi si insinuò sempre più prepotente il desiderio di possesso, di consumo compulsivo e accumulazione di cose e oggetti. Per saziarlo il mercato finanziario creò i prestiti, i pagamenti a rate che resero possibile e esaudibile ogni capriccio.
C’erano una volta le banche che, accertata l’affidabilità del richiedente, concedevano dei prestiti a chi voleva investire in progetti di produzione e di ricerca nel Paese. Poi accadde che le loro scelte vennero sempre più eterodirette da poteri esterni che, attraverso un gioco di matrioske, le inglobarono nei loro interessi. Si accorsero che era più conveniente investire in fondi e speculazioni, piuttosto che prestare denaro a individui e imprese.
I cittadini, affascinati dal modello a stelle e strisce, cominciarono a indebitarsi per comprare sempre più cose sempre più superflue ma indispensabili, assaporando il potere di acquistare tutto subito, ma pagandolo un pezzetto alla volta, per lungo tempo. Questo li rese fugacemente felici, e sempre più bramosi. Poi lo Stato, stufo di non essere pagato per le varie infrazioni e inottemperanze del cittadino, creò Equitalia, che con fare risoluto riscosse tutte le inadempienze, aggiungendo tasse extra quale compenso. Il congegno funzionava così bene che lo Stato decise di incrementare il suo potere vessatorio e iniziò a premiare quei dipendenti che dispensavano più sanzioni.
Presto il cittadino si destò, la bolla nella quale si era adagiato si stava rompendo. Capì che era il momento di tirare la cinghia, ma era troppo tardi. Provò a chiedere soldi alla cara banca di famiglia per far fronte al momento, ma le sue garanzie non bastavano più. Equitalia intanto non poteva attendere e le sue minacce si facevano sempre più pressanti. E fu così che la legge magica e infallibile del mercato rispose alle nuove occorrenze, offrendo e riabilitando una figura che sembrava ancorata al passato: l’usuraio, volgarmente detto strozzino.
Conosciuto e condannato sin dai tempi dell’antica Grecia, tanto che Aristotele nell’Etica Nicomachea biasima aspramente il fenomeno del prestito dei soldi per interessi, poiché solo dal lavoro umano o dal suo intelletto può nascere la ricchezza; piaga sociale durante il Medioevo, il fenomeno dell’usura, mai debellato, percorre tutta la storia della civiltà.
Nell’ultimo periodo si credeva relegato al sottobosco della criminalità organizzata e volto a finanziare traffici illeciti, ma le stime diffuse da Confcommercio ci raccontano un quadro allarmante. A Roma nell’ultimo quinquennio i casi di “strozzinaggio” sono triplicati. I cittadini dell’Urbe si indebitano, magari perché hanno perso il lavoro a causa della crisi e non riescono più a pagare le rate – del mutuo, dell’auto o anche del televisore o della lavatrice. Ma soprattutto (uno su due!) non riesce più a pagare i debiti con Equitalia.
E così, per chi entra nella morsa dell’usura – in particolare gli esercenti di bar, ristoranti e tabaccai – aumentano i casi di rapine, furti e minacce, in un circolo vizioso di disperazione e violenza.
(Ilaria Bifarini, maggio 2016)