Per combattere una guerra bisogna innanzitutto identificare il nemico, studiare le sue strategie e analizzare su quali fronti risulti più vulnerabile. Affermazione scontata, direte voi, non serve certo leggere l’Arte della Guerra di Sun Tzu per capirlo! Ma la percezione cambia se spostiamo il campo di osservazione da quello bellico a quello ideologico.
I grandi conflitti del XXI secolo hanno un carattere universale che sfugge alla logica dei blocchi contrapposti, sempre più difficili da identificare. Così avviene per le idee e le dottrine economiche, che più di un dittatore riescono a irreggimentare una popolazione. Il nostro DNA di cittadini occidentali è permeato culturalmente e socialmente da quella che è stata la grande guerra ideologica del XX secolo, combattuta su tutti i fronti e senza esclusione di colpi: quella contro il Comunismo, poi dirottata verso il keynesismo, nemico ancora più resistente. Lo scontro è stato uno dei più duraturi della storia, fornendo così il tempo e l’esperienza per elaborare tecniche in grado di assicurare al vincitore un dominio incontrastato, votato all’immortalità.
A vincere è stato chiaramente il neoliberismo, l’ideologia imperante dal proselitismo universale. La strategia congegnata per garantire il comando sul mercato mondiale è stata innovativa ed efficace: portare un originario pensiero economico a valicare i suoi confini e permeare l’intero apparato sociale, reso liquido e impalpabile e perciò capace di propagarsi con una velocità e una forza di contaminazione straordinarie.
Solo ultimamente il termine neoliberismo è stato sdoganato dalla sua impronunciabilità, attribuendo così un nome e un’identità a un’ideologia totalizzante, che proprio dell’anonimato e dell’invisibilità ha fatto il suo punto di forza.
Grazie all’insinuarsi dell’informazione libera, che tanto fa paura al mainstream, che del neoliberismo è l’asse portante, comincia a prendere forma nell’opinione pubblica quel moloch ideologico che, attraverso la cristallizzazione di enunciati economici tanto artificiosi quanto puntualmente smentiti dai fallimenti dell’economia reale, domina l’intero pianeta.
Parlarne non è semplice: multiforme e immanente, la dottrina neoliberista ha contaminato talmente a fondo il nostro pensiero da venire interiorizzata nei comportamenti della vita reale dell’individuo stesso e perciò sempre più difficile da combattere. La sua essenza, che si fonda su un nucleo originario di pochi e semplicistici enunciati economici, è stata volutamente resa complicata e non comprensibile al cittadino medio che, armato del solo buonsenso, sarebbe in grado di farla capitolare in un colpo.
Forte di una prodigiosa macchina della propaganda senza precedenti, il neoliberismo è riuscito a conquistare ogni spazio ideologico lasciato vuoto per mancanza di avversari capaci di far fronte comune e reagire a un nemico tanto imponente quanto invisibile.
Attraverso seducenti armi di distruzione del pensiero di massa è riuscito a creare le condizioni ideali per un sempiterno dominio delle élite sui popoli, sotto una facciata fintamente democratica e modernizzatrice. L’individuo, inizialmente, è stato reso docile attraverso quel “minimo vitale sociale”, di cui parlavano Malthus prima e Marx poi, ossia quel modesto di più percepito dal lavoratore rispetto allo stretto necessario per vivere e che quindi in grado di consentire l’accesso all’agognato atto del consumo su cui si è retto finora il sistema capitalistico consumistico.
Oggi, per il principio della gradualità e dell’irreversibilità della privazione incessante dei diritti e del benessere umano, il minimo sociale di vita sta divenendo appannaggio di pochi, considerati come dei privilegiati dal sistema e per questo osteggiati dai propri simili, alimentando così una guerra intestina tra i nemici, inconsapevoli e disgregati, dell’invisibile tiranno.
L’interiorizzazione del sentimento di paura perenne, legata alla precarietà e alla sfuggevolezza delle condizioni lavorative e di vita, nonché delle relazioni sociali e umane sempre più sfaldate, ha generato quel caos e quell’automatica quanto inconsapevole repressione delle frustrazioni del singolo, che hanno castrato ogni anelito di ribellione.
Uscire da questa eterna schiavitù, cui l’invasore ci ha condannati è impossibile, se prima non viene individuato il nemico e il campo di battaglia.
(di Ilaria Bifarini su SE)
6 comments On Il nemico invisibile
non è facile trovare contenuti attuali e garbo nell’esporli e tu cara Ilaria hai qst dote mi permetto di aggiungere che il nemico ” invisibile ” di oggi crede fortemente in un sistema economico diviso in sole due fasce e la Cina ne è il testimone principe visto che ha al suo interno 2 sistemi economici perfettamente indipendenti e che sostengono le rispettive classi e ahimè è questo il modello al quale aspira “il nemico invisibile”. Ma… il mondo va avanti, nn torna indietro e nn credo quindi che sia un modello applicabile in “occidente”, la ns situazione attuale è quindi destinata inevitabilmente a cambiare verso un nuovo modello sociale. Quanto ci costerà? Lo si scoprirà e scusa x le chiacchiere di un vecchio insonne 😉
La ringrazio, bisogna uscire dalla trappola mentale e culturale del TINA creata dal neoliberismo e su cui si fonda il pensiero unico dominante.
Sono pienamente d’accordo con Lei e quindi parzialmente d’accordo sulla triade; libero mercato, capitalismo e globalizzazione come “unica” strada futura , ciò che mi convince poco per il ns futuro è il concetto di capitalismo che nn trovo più adeguato, quale potrebbe essere allora il modello possibile? esiste? potrebbe essere un sistema in cui i servizi l’energia le tasse abbiano costi minimi affinché il lavoro venga demandato alla capacità imprenditoriale del singolo? la mia visione, perdoni l’arroganza, è questa per il ns futuro, poche aziende uno stato minimo ma funzionale per i servizi essenziali e molti piccoli imprenditori. Pensa sia fattibile? Buon lavoro e grz x l’eventuale risposta.
Sicuramente il capitalismo ha raggiunto una fase di declino per logoramento. Nel progettare un modello alternativo bisogna tener conto di tutti i cambiamenti intervenuti che lo rendono obsoleto, dalla tecnologia -che implica una diversa organizzazione del modello del lavoro- al ruolo della rete e dell’informazione. Prioritario è il ridimensionamento della finanza a favore dell’economia reale.
In uno stato come l’Italia dove la spesa pubblica pesa per oltre il 50% del PIL si ha il coraggio di affermare che il neoliberismo ha vinto?!? Se l’obiettivo fosse una socialisteggiante repubblica col 100% di spesa pubblica, diciamo che al massimo si potrebbe dire che ha pareggiato, ma sta perdendo, non trova?
Ho la sensazione che sarà molto difficile uscire da questa situazione. Finchè la Politica non avrà la forza e il coraggio di dire basta e riprendersi il potere che le spetta.