La multinazionale statunitense dell’agroalimentare segna utili record.
Uno spettro si aggira sul pianeta: una crisi della catena di approvvigionamento su scala globale, con aumento esponenziale dei prezzi dei beni alimentari, scarsità di prodotti e carestie. Le prime strozzature sono emerse dalla gestione scellerata della (dichiarata) pandemia di Covid: l’imposizione senza criterio di chiusure di attività produttive e del confinamento della popolazione mondiale non poteva non generare una rottura dell’equilibrio tra la curva di domanda e di offerta di mercato. La crisi ucraina, che coinvolge due Paesi ricchissimi di materie prime, non solo energetiche ma anche alimentari, tanto da essere considerati i granai del mondo, ha aggravato il processo inflattivo in atto e la scarsità di beni alimentari.
Secondo l’analisi della Coldiretti, con la guerra rischia di venire a mancare dal mercato oltre un quarto del grano mondiale, ma le carenze riguarderanno anche il mais per l’alimentazione degli animali e il famigerato olio di girasole, che già scarseggia sui nostri scaffali. A pagarne il prezzo non sono soltanto i cittadini occidentali, che si trovano a subire rincari a cascata sull’intera filiera produttiva e sulla propria economia, ma anche i Paesi africani, fortemente dipendenti dalle importazioni di materie prime agricole, a causa di politiche economiche imposte dai pacchetti neoliberistici dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale[1]. In Egitto, il maggior importatore mondiale di grano al mondo, per la quasi totalità proprio da Russia e Ucraina, si respira aria di sommosse popolari.
Tempi d’oro per gli speculatori delle commodities alimentari, beni di prima necessità trattati alla stregua di titoli negoziabili in Borsa, secondo le logiche della finanza e del mercato. La tendenza all’aumento dei prezzi era già in corso nel 2021 e con la crisi ucraina ha subito un’impennata pericolosa. In Italia rispetto allo scorso anno il mais ha riportato un incremento di prezzo di circa il 70%, mentre l’orzo ha superato l’80% e il frumento duro addirittura il 90%, con un prezzo pressoché raddoppiato, mentre per acquistare riso occorre spendere il 68% in più rispetto allo scorso anno.
In questa cornice globale di preoccupazione e instabilità, c’è chi brinda per l’ingresso nell’Olimpo dei Bloomberg Billionaires, le 500 persone più ricche al mondo: sono i fratelli Cargill, i pronipoti di William Wallace Cargill, fondatore dell’omonima multinazionale con sede in Minnesota, un impero agro-alimentare di dimensioni titaniche, che impiega più di 155.000 dipendenti in settanta paesi, compresa l’Italia, e un fatturato che supera i 100 miliardi di dollari. Si tratta di un’azienda a conduzione familiare, in cui la famiglia allargata, classificata come l’undicesima più ricca del mondo, detiene circa il 90% della proprietà.
Il 2022 si preannuncia un anno scintillante per Cargill, con profitti eccezionali, che dovrebbero superare addirittura il precedente record registrato nel 2021, un aumento del 63%, “il più grande balzo dei suoi 157 anni di storia”.
Risultati straordinari, ma non imprevisti per l’amministratore delegato della multinazionale, che aveva già dichiarato di aspettarsi che i prezzi dei generi alimentari rimanessero elevati per tutto il 2022. D’altronde il colosso americano dell’agroalimentare – che ha diversificato il suo business spaziando dalla farmaceutica al settore energetico e a quello delle soluzioni finanziarie – è già preparato ad affrontare un’eventuale e scongiurabile collasso della catena di approvvigionamento, capace di metter in ginocchio la popolazione mondiale.
Nel novembre 2015 insieme al WWF Cargill è stata uno degli organizzatori di Food Chain Reaction, la simulazione di una crisi alimentare che avrebbe interessato l’intero pianeta a partire dal 2020 fino al 2030. Si è trattato di un “gioco”, come se ne conducono molti tra i grandi centri decisionali internazionali, volto a testare le strategie e le azioni messe in campo dai partecipanti di fronte al verificarsi di uno scenario catastrofico, fatto di aumento dei prezzi alimentari del 400%, crisi dei rifugiati, instabilità governative e disastri climatici.
A partecipare all’evento sono state otto squadre: i rappresentanti di Africa, Brasile, Cina, UE, India, Stati Uniti e altre due squadre, che comprendevano rispettivamente “affari e investitori internazionali” e “istituzioni multilaterali”.
Ovviamente, ca va sans dire, per rispondere alla complessità della crisi, causata da fattori interdipendenti e concomitanti, come la crescita demografica, l’urbanizzazione, la crisi climatica e l’instabilità governativa in diverse regioni, si è convenuto che la “cooperazione globale” e l’ottica di lungo periodo siano le strategie ottimali da implementare, superando quindi l’interesse nazionale e il profitto immediato.
Ogni squadra nazionale ha presentato una propria risposta alla catastrofe alimentare globale, che è stata poi mediata dalla cabina di regia e dal gruppo istituzionale per ottenere una linea comune condivisa.
Per la Cina, date le dimensioni della popolazione e una classe media in rapida crescita con maggiori preferenze per le proteine, si è rilevato che il raggiungimento dell’autosufficienza nazionale potrebbe ridurre la pressione sul sistema alimentare globale e quindi essere vantaggioso a livello globale[2].
Negli Stati Uniti è stato promosso il Vertice globale sulla sicurezza climatica e la vulnerabilità, convocato dalle Nazioni Unite, per affrontare le implicazioni dei disastri legati al clima per i Paesi vulnerabili, con l’impegno da parte di ogni Stato di ridurre le emissioni di CO2; è stato inoltre incoraggiato il passaggio dalla produzione di biocarburanti di prima generazione a fonti di energia più sostenibili e rinnovabili. Dunque, avanti col il Green Reset, che oggi sembra, apparentemente, riposto in soffitta a causa del conflitto bellico.
Per quanto riguarda l’Unione europea, si è concentrata sullo spreco alimentare, vagliando persino l’ipotesi di una sua criminalizzazione. Ha inoltre optato per l’introduzione di una tassa sulla carne e una tassa sul carbonio sulla produzione agricola in base all’impatto delle emissioni. Dunque, più tasse per tutti i cittadini.
La squadra “Imprese e Investitori” invece ha avanzato ai vari Paesi l’accettazione di semi geneticamente modificati e ha espresso la volontà di investire in varietà di semi resistenti alla siccità.
Infine, il team “Istituzioni multilaterali”, che ha svolto il ruolo di facilitatore del dialogo tra nazioni, come tra Cina e Usa, si è impegnato per la realizzazione di investimenti cospicui per lo sviluppo di un’agricoltura e una pesca climaticamente “smart” (intelligenti), proponendo di testare nuovi approcci al cambiamento climatico. Cosa significhi concretamente non è chiaro, ma è verosimile che arriveremo a scoprirlo a breve. Inoltre la squadra ha caldeggiato il rafforzamento delle istituzioni internazionali esistenti e considerato la creazione di una nuova istituzione internazionale, col compito di elaborare politiche a lungo termine sull’interazione tra la questione alimentare, idrica e climatica.
Dall’analisi del documento emerge dunque un programma chiaro e dettagliato, dove tutti i partecipanti sono stati ben indirizzati e coordinati nella risposta a una catastrofe alimentare. Come interpretare questi “giochi” organizzati dai centri di potere economici e istituzionali alla luce dell’esperienza di Event 201 e dello scenario Lockstep ipotizzato dalla Rockefeller Foundation e poi tristemente avveratosi, dipende dalla nostra sensibilità e dalla capacità di mettere insieme i tasselli di una Grande Narrazione, che si sta profeticamente avverando. Conoscere le strategie e il modus operandi dei rappresentanti della governance globale può rivelarsi un’arma potente per difendere le nostre vite da eventi inaspettati, eppure già ipotizzati.
Un piccolo addendum, utile per ricostruire la cornice entro la quale si svolgono queste simulazioni, o meglio sarebbe chiamarle profezie autoavveranti. Il WWF (World Wildlife Fund) è stato fondato nel 1961 in Svizzera dal Principe Bernardo d’Olanda, petroliere (Shell Oil) e commerciante di armi, coinvolto in vari scandali, fondatore e presidente del Gruppo Bilderberg fino al 1972, e da Filippo di Edinburgo, di cui è nota l’affermazione:
Nel caso mi reincarnassi, mi piacerebbe tornare sotto forma di un virus mortale, in modo da poter contribuire in qualche modo a risolvere il problema della sovrappopolazione.
Dietro la patina ecologista e filantropica si nascondono intrecci di interessi e di potere quantomeno ambigui.
Note
[1] Per una trattazione dell’argomento vedi il mio “I coloni dell’austerity. Africa, neoliberismo e migrazioni di massa”, 2018.
[2] Che sia questo, tra gli altri, l’obiettivo dei lockdown durissimi del governo cinese che, partiti da Shanghai, stanno riguardano circa metà della popolazione? Inoltre il gigante asiatico ha fatto scorte pari al 60% del grano mondiali già prima della crisi ucraina.
1 comments On Crisi alimentare e carestie. Profitti d’oro per Cargill.
Sì, proprio così. I potenti o le grandi lobbies pensano ai loro profitti futuri (come, nel caso, questi giganti dell’agroalimentare), mentre i popoli ingenuamente vivono e non se ne accorgono. I potentati, economici e politico-finanziari, addirittura organizzano “giochi” virtuali, in cui predispongono tutte le variabili per capire come ottenere risultati migliori. Lo hanno fatto per il covid, con la famosa simulazione degli anni precedenti la cosiddetta pandemia e lo fanno anche in altri settori, come quello dell’approvvigionamento alimentare, come Lei ci fa vedere in quest’articolo. Si ha la sensazione che quanto accade sia sempre da loro previsto e teleguidato, ovviamente, per il maggior profitto possibile e, ancor più, per la maggiore irreggimentazione possibile delle masse, tenute ad allinearsi al pensiero unico, che ha lo scopo di assicurare i loro interessi, depotenziando le capacità di pensare dei singoli, sempre più chiusi in compartimenti stagni di pensieri, vita e lavoro, pronti solo a subire i vari imprinting propagandistici. Grazie, sempre.