Le previsioni economiche sono strumenti utilizzati dagli economisti per anticipare scenari futuri in base all’andamento di serie storiche di dati empirici e all’applicazione di modelli teorici di sviluppo. In un rapporto del 2014, “Le sfide politiche per i prossimi 50 anni”, l’Ocse prospetta gli scenari di evoluzione da qui al 2060. Ne esce un quadro sconfortante e allarmante, le cui avvisaglie sono già riscontrabili nei fenomeni sociali e nell’economia reale. La crescita mondiale considerata a livello aggregato, ossia di Paesi Ocse (nei quali rientrano le cosiddette economie occidentali) e non Ocse, subirà un rallentamento e si attesterà a livelli di gran lunga inferiori a quelli pre-crisi. Entro il 2060 la quota dei paesi non OCSE nel PIL mondiale sarà significativamente maggiore di quella dei Paesi OCSE attuali. Per gli economisti che hanno elaborato il documento previsionale una delle cause più determinanti del rallentamento da parte delle economie avanzate risiederebbe nella diminuzione della popolazione in età lavorativa (15-74 anni), che secondo le proiezioni dovrebbe diminuire del 7%, nonostante l’aumento previsto della popolazione totale del 17%. Dunque la longevità della popolazione e la bassa natalità occidentale rappresentano la grande sfida del futuro. Vengono quindi prospettate da parte degli analisti ulteriori riforme del mercato del lavoro volte a prolungare la vita lavorativa.
Ma perché il modello economico di crescita sottostante a questo studio funzioni (inutile specificare che si tratta di quello inflessibile e dogmatico del neoliberismo) è necessario che l’Europa e gli Stati Uniti accolgano da qui al 2060 la considerevole cifra di 50 milioni di migranti. Tale accrescimento della popolazione lavorativa sarebbe funzionale a garantire le richieste di forza lavoro necessaria.
Ma quali sono gli scenari previsti dagli economisti per il mercato del lavoro?
Essendo il modello economico futuro sempre più “technology oriented”, l’automazione diminuirà la richiesta di lavoratori mediamente qualificati, che verranno opportunamente sostituti dalla tecnologia, mentre sopravvivranno quelli ad alto e basso livello di qualifica e responsabilità, cui corrisponde un correlato livello di salario.
Ne consegue un inevitabile e inarrestabile aumento del livello di disuguaglianza della popolazione: è il fenomeno già in atto della distruzione del ceto medio, elemento fondante e prerogativa del benessere delle economie occidentali. Su scala mondiale il livello di disuguaglianza da qui al 2060, mantenendo inalterato l’attuale modello economico neoliberista, potrebbe riportare un’impennata addirittura del 40% secondo le previsioni stimate.
Quindi, ricapitolando: le nostre economie saranno più povere, la disparità socio-economica tra fasce di popolazione sarà a livello dei Paesi in via di Sviluppo, i quali invece si avvicineranno sempre di più al nostro decadente modello, ma saremo tutti più globalisti e “accoglienti”!
(Ilaria Bifarini, su La Costituzione blog, giugno 2017)